Testi di Eloisa Betti ed Elda Guerra
Nella storia dei movimenti delle donne il ’68 rappresenta un crocevia e un momento di accelerazione per differenti generazioni. Nelle università, le ragazze cresciute negli anni Sessanta condividono con i loro coetanei la ribellione antiautoritaria, la critica alle forme della politica e alla neutralità del sapere. Ma comprendono presto che anche quel movimento riproduce al suo interno tradizionali gerarchie tra i sessi, la prevalenza di leadership maschili, la marginalizzazione delle donne in ruoli secondari.

1968 (foto di Luciano Nicolini – Archivio storico dell’Università di Bologna)
Dagli Stati Uniti all’Europa si moltiplica il gesto separatista, nascono gruppi e collettivi di sole donne e si avvia un processo di presa di coscienza, di scoperta del proprio corpo e della propria sessualità destinato ad andare ben oltre il ’68. È questo l’atto di nascita del femminismo contemporaneo che declina in termini specifici le grandi questioni poste dai movimenti degli anni Sessanta.

primi anni Settanta (Archivio di Storia delle Donne)
Tra queste, la critica alla neutralità del sapere diviene critica all’apparente neutralità di un soggetto considerato universale, ma che esprime in realtà il dominio e la soggettività maschile. Si avvia così la ricerca di espressione di una differente soggettività, di costruzione di una diversa rappresentazione delle donne e di invenzione di linguaggi capaci di narrare una storia altra.

21/4/1971 (Archivio UDI Bologna)
Contemporaneamente nelle fabbriche e nei luoghi di lavoro le donne partecipano alle lotte di quegli anni e l’associazionismo femminile nato tra guerra e dopoguerra, in primo luogo l’Unione donne italiane (UDI), continua la sua battaglia ventennale per il superamento di antiche discriminazioni, più egualitari rapporti tra i sessi e una società a misura di donna.

(Archivio UDI Bologna)
In quel passaggio di decennio i due percorsi appaiono paralleli e in parte conflittuali nello scontro tra emancipazione femminile e liberazione femminista, ma nel corso degli anni Settanta essi si intrecciano in un processo articolato e complesso di diffusione e contaminazione.
Lotte di donne
Vari sono i temi di lotta che vedono le donne protagoniste nelle piazze e nei luoghi di lavoro tra anni Sessanta e Settanta. Tra questi spicca il tema della salute della donna lavoratrice, al centro della conferenza nazionale promossa dall’UDI a Torino nel gennaio 1967. Lì vengono presentati i risultati dell’inchiesta sulla Camiceria Pancaldi promossa dal comitato bolognese dell’associazione, che vede la collaborazione tra gli altri di Gian Franco Minguzzi. L’inchiesta genera un’importante presa di coscienza da parte delle operaie e una mobilitazione per migliori condizioni di lavoro sfociata, l’anno successivo, nell’occupazione della fabbrica, vero e proprio simbolo del ’68 bolognese.


Questionario realizzato per l’inchiesta svolta alla Camiceria Pancaldi di Bologna
1967 (Archivio UDI Bologna)
Alle rivendicazioni delle operaie si affiancano quelle delle lavoranti a domicilio. Categoria di lavoratrici tradizionalmente invisibili, nei primi anni Settanta esse acquisiscono una nuova consapevolezza del loro sfruttamento, promuovendo un’azione rivendicativa e di sensibilizzazione, con il supporto di associazioni femminili e organizzazioni sindacali, che pone le basi per la nuova legge di tutela del 1973.

1973 (Archivio UDI Bologna)
La critica della “doppia fatica” della donna, lavoratrice e madre, aveva spinto fin dai primi anni Sessanta le donne dell’UDI a lanciare una campagna per il rinnovamento e l’ampliamento dei servizi all’infanzia. Dapprima nel 1968, e successivamente nel 1971, le donne invadono simbolicamente le piazze con carrozzine e passeggini, per sottolineare la centralità dei bambini nel rivendicare un asilo nido di tipo nuovo gestito dagli enti locali.

1971 (Archivio UDI Bologna)
Nel 1970, la legge sul divorzio sancisce anche in Italia la possibilità di sciogliere il matrimonio, un nuovo diritto difeso dalle donne nella mobilitazione successiva contro il referendum abrogativo del 1974. La revisione del diritto di famiglia pochi anni dopo, nel 1975, avrebbe garantito anche la parità tra i coniugi all’interno delle mura domestiche.

1970 (Archivio UDI Bologna)
Una diversa rappresentazione
Anche le forme di rappresentazione e i linguaggi della politica femminile si modificano a partire dal ’68, e per effetto del femminismo che comincia a propagarsi sul piano internazionale. Le pagine di «Noi Donne» testimoniano una revisione critica dei paradigmi concettuali al centro delle azioni precedenti. L’inchiesta lanciata nel 1969, anno in cui la testata si rinnova con la creazione di una cooperativa per la sua gestione e diffusione, interroga attiviste e lettrici sul significato di “emancipazione”. Tra le possibili risposte emergono definizioni come “liberazione della donna” e “scomparsa dell’istituto familiare” a testimonianza delle trasformazioni in corso.


Inchiesta sul significato di emancipazione realizzata dalla rivista «Noi Donne»
1969 (Archivio UDI Bologna)
Una seconda inchiesta dello stesso anno affronta il tema della stampa femminile, criticata per i temi troppo frivoli e gli stereotipi della femminilità che le varie testate di larga diffusione propongono alle donne. Il “diritto di pensare” è la rivendicazione che campeggia nell’immagine a corredo dell’inchiesta.

1969 (Archivio UDI Bologna)

1973 (Archivio di Storia delle Donne)
Nel contempo anche in Italia i primi gruppi femministi propongono, nella grafica scarna del volantino o del pamphlet, nuove immagini: esemplare è la figura di copertina di un ciclostilato di Lotta femminista sovrastata dall’interrogativo “Chi è?”, una rappresentazione che vuole denunciare il lavoro invisibile e non pagato svolto nella solitudine della casa.

1973 (Archivio UDI Bologna)
A sua volta, con l’8 marzo 1973, l’UDI mette in discussione le rappresentazioni tradizionali del femminile, invocando la ribellione individuale come parte di un più ampio movimento collettivo e di lotta delle donne.
Confronti e trasformazioni
L’8 marzo 1973 rappresenta anche una delle prime uscite pubbliche del movimento femminista bolognese con la diffusione di un volantino con lo slogan significativo “Le mimose non ci bastano più”. Lo ricorda una delle protagoniste, Tina Magnano, che nella sua testimonianza racconta il sentimento di scoperta di sé e delle altre, presente nei primi incontri di sole donne.

1973 (Archivio di Storia delle Donne)
All’inizio degli anni Settanta a Bologna e nelle altre città dell’Emilia-Romagna sorgono, infatti, i primi gruppi e collettivi femministi, alcuni incentrati sulla pratica dell’autocoscienza, altri, in continuità con l’analisi marxista, sulla denuncia del lavoro domestico femminile,
dell’oppressione patriarcale e delle forme specifiche di sfruttamento delle donne. Non mancano tensioni e conflitti, ma intensi sono gli scambi e la circolazione.
Scherzando dicevo ‘i gruppi femministi si dividono
per partenogenesi’ […] Le spaccature dei partiti
tradizionali o dei gruppi politici tradizionali le
vedevo come narcisismi personali dei vari uomini;
soprattutto i maschi si dividevano perché non potevano
primeggiare, invece questi li vedevo come una sorta
di moltiplicazione dei pani e dei pesci […]. In questo
il piccolo gruppo come discorso teorico mi ha sempre
colpito molto, non credevo alla riunione oceanica.
[…]. Mi interessava questo parlare insieme dei propri
problemi, scoprire che quello che ognuna di noi sentiva
come personale apparteneva anche alle altre, quindi
non era personale, ma era, appunto, generale come
si dirà dopo, politico. E poi c’era questo stare in un
modo completamente non formale, non so […] quando
s’andava alla riunione non ci si preoccupava più di
truccarsi, di vestirsi bene, di mettersi delle maschere,
come dicevo io. Le debolezze dell’altro o la difficoltà
esteriore di approccio non le si vedeva più come difficoltà
che venivano bollate come negative, ma come risultato di
una storia individuale, soprattutto secolare […]
Intervista a Tina Magnano
Bologna 1986 (Archivio di Storia delle Donne)

1975 (Archivio di Storia delle Donne)
Tra i temi sollevati vi sono la critica radicale a un sapere medico costruito a prescindere dalla soggettività delle donne e, soprattutto, la questione dell’aborto e della sua depenalizzazione in nome del pieno controllo su di sé e sul proprio corpo.

1973 (Archivio UDI Bologna)
Sempre nel 1973, con il congresso Dimensione donna: nuovi valori, nuove strutture, le donne dell’UDI approfondiscono il percorso di autonomia dai partiti di riferimento. Il confronto con le elaborazioni e le pratiche del neofemminismo s’innesta così sulla vicenda dell’associazionismo di più lunga data e si apre una nuova fase, che vede da una parte il compimento di lotte paritarie nella famiglia e nel lavoro, dall’altra l’affermazione di più ampie libertà, prima fra tutte la libera scelta della maternità.
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