testi di Maria Letizia Bongiovanni, Valentina Gabusi e Silvia Napoli
Quando il vento del ’68 inizia a soffiare prepotentemente sull’Italia, il tema del rinnovamento dell’assistenza psichiatrica, amplificato dall’attitudine antiautoritaria del movimento studentesco, acquista finalmente una grande visibilità, anche mediatica, nel nostro Paese.

A differenza di Francia e Gran Bretagna, dove la critica alla psichiatria tradizionale ha portato fin dagli anni Cinquanta a esperienze di assistenza alternative e a una revisione della normativa, in Italia ci si riferisce ancora alle Disposizioni sui manicomi e gli alienati risalenti al 1904, nate in epoca giolittiana dal bisogno di controllare e circoscrivere le situazioni di pericolosità sociale e di emarginazione allora diffuse. Il manicomio, conseguentemente, era concepito come luogo di custodia e il paziente definito come pericoloso «a sé o agli altri o di pubblico scandalo».

(Istituzione Gian Franco Minguzzi)
Negli anni Sessanta l’introduzione degli psicofarmaci cambia in parte anche in Italia la condizione dei malati, riducendo le pratiche più coercitive, modificando la percezione che gli psichiatri hanno del proprio ruolo e contribuendo a sollecitare una modifica organizzativa. Ma l’istituzione in sé, coi suoi meccanismi segregativi e fortemente gerarchici, appare ancora, sostanzialmente, irriformabile.
Un primo tentativo di riforma viene avviato con la legge Mariotti, promulgata nel 1968, con cui si introducono importati modifiche alla vecchia legge, pur senza abolirla e senza scardinare l’impianto tradizionale basato sul manicomio.
A Bologna i contenuti della nuova legge in direzione di un progressivo decentramento dell’assistenza sono anticipati dalla creazione dei dispensari di igiene mentale e dei centri diagnostici neuropsichiatrici, i primi reparti aperti, concepiti con l’intento di affrontare, sul territorio, la componente sociale del disagio mentale. Ricordiamo, in particolare, la breve e dirompente esperienza di Edelweiss Cotti che, tra il 1964 e il 1967, dirige con metodi radicali a spiccata impronta comunitaria il reparto maschile del Centro diagnostico neuropsichiatrico di Villa Olimpia.

3/3/1971 (Archivio UDI Bologna)
Già da anni, inoltre, ci si preoccupa di rendere attivi i malati all’interno degli istituti grazie a pratiche laboratoriali e artistiche e all’ergoterapia.
Forse anche per questi motivi nel nostro territorio l’abolizione del manicomio, decretata nel 1978 dalla cosiddetta legge Basaglia, sarà poi molto graduale, preceduta da un grande investimento nella politica del “settore” e caratterizzata dalla capillarità del dibattito e dal coinvolgimento di una classe medica rinnovata nella formazione e convintamente riformatrice, che spesso assume in prima persona responsabilità politico-amministrative, a dimostrazione del fatto che un’efficace pratica de-istituzionalizzante può essere condotta anche a partire dalle istituzioni.
Gli scioperi
Tra il 1967 e l’inizio del 1968 i medici degli ospedali psichiatrici scendono in piazza a più riprese, con durissimi scioperi a oltranza. Al di là delle rivendicazioni economiche, i medici e le organizzazioni di categoria, prima fra tutte l’Associazione medici ospedali psichiatrici italiani (creata nel 1959 e destinata ad assumere un ruolo di primo piano nel dibattito di quegli anni), chiedono una riforma complessiva e moderna dell’assistenza psichiatrica.

1/5/1970 (foto di Umbero Gaggioli – Archivio UFO)
A marzo del 1968 il ministro della Sanità Mariotti vara la legge stralcio n. 431. Tra le novità più significative, l’introduzione del ricovero volontario, l’abolizione dell’iscrizione al casellario giudiziario e l’istituzione dei centri di salute mentale, in cui dovranno lavorare oltre a psichiatri e infermieri, psicologi, assistenti sociali e sanitari. Si dispongono inoltre aumenti di personale e un numero massimo di posti letto.

29/11/1968 (Archivio di Stato di Bologna)

5/12/1968 (Archivio di Stato di Bologna)
Criticata da molti e frutto di un dibattito già superato, la legge Mariotti fatica a essere applicata, soprattutto per gli aggravi di spesa che comporta per le amministrazioni provinciali da cui dipendono gli istituti psichiatrici.

1/12/ 1968 (Biblioteca dell’Archiginnasio)
Ne consegue, a partire da dicembre del 1968, una nuova ondata di scioperi dei medici, non «più disposti a tollerare che la psichiatria sia la vergogna e la cenerentola della medicina». Lo stato di agitazione, destinato a protrarsi ancora per anni, porta a situazioni di estremo disagio per i degenti e per le loro famiglie, come ben si evince dalle lettere che i ricoverati di diversi istituti indirizzano alle autorità.

9/12/1968 (Archivio di Stato di Bologna)
Il Roncati, un edificio in trasformazione
Dal 1867 l’ex convento delle Salesiane di via S. Isaia è sede del manicomio cittadino, che nel 1906 viene intitolato a Francesco Roncati, suo primo direttore. Nell’arco di un secolo, la Provincia di Bologna amplia notevolmente l’edificio che diventa una cittadella estesa fino a viale Pepoli e via Frassinago.

3/6/1966 (Archivio di Stato di Bologna)
A metà degli anni Sessanta una visita del Ministero della sanità fa emergere l’inadeguatezza della struttura che necessita di restauri murari, attrezzature meccaniche e locali idonei a un moderno servizio.

6/9/1968 (Archivio storico della Provincia di Bologna)
Due anni dopo, anche a seguito dell’emanazione della legge Mariotti, la Provincia elabora il progetto di un centro sociale, che collega i dormitori e la zona destinata all’ergoterapia con una scuola di qualificazione e una sala bar. Sebbene dotato dei necessari finanziamenti, tale progetto non viene posto in essere.

15/6/1972 (Archivio storico della Provincia di Bologna)
In vista di un positivo reinserimento del malato nella società, la Provincia istituisce comunque un corso biennale di qualificazione professionale per meccanici generici che si tiene nei locali prima adibiti a deposito della biancheria. Oltre a scopi terapeutici e occupazionali, l’intento è quello di realizzare, «un’adeguata specializzazione di infermi idonei di cui si prevede la dimissione».

15/6/1972 (Archivio storico della Provincia di Bologna)
Nel febbraio 1969, nella sala Colonne, si costituisce un gruppo di degenti lavoratori: l’iniziativa persegue finalità terapeutiche, economiche e assistenzialiassicurative, consentendo lo svolgimento di un’attività produttiva e responsabile, la disponibilità di piccole somme, il diritto alle prestazioni sanitarie e alla pensione per invalidità e vecchiaia.

14/11/1968 (Archivio storico della Provincia di Bologna)
Tra le mura: scrittura, pittura e vita sociale
I fermenti del ’68 trovano vivace riflesso all’interno delle mura dell’ospedale che ospita, in media, oltre 600 pazienti tra uomini e donne. Composta da studenti di varie facoltà, l’Associazione per la lotta contro le malattie mentali collabora ai dibattiti contro l’ “istituzione psichiatrica autoritaria” promossi, tra gli altri, da Gian Franco Minguzzi e Corso Bacchilega, e frequenta i reparti dell’ospedale animandoli con le proprie idee. Iniziative e riflessioni degli studenti sono richiamate a più riprese anche nelle pagine del giornalino «Il Futuro», redatto dai pazienti del Roncati, il cui primo numero esce nel febbraio del 1969.

Novembre 1968 (Archivio di Stato di Bologna)
Dal 4 marzo 1968 all’interno dell’ospedale funziona uno spaccio-bar. Aperto anche agli esterni, esso diviene in breve tempo un centro di aggregazione sociale di grande richiamo per tutti i degenti. Desta, però, vivaci preoccupazioni e polemiche: i familiari dei pazienti denunciano “uno scandaloso commercio di bevande e sigarette” ai danni dei loro congiunti (spesso alcolizzati). I commercianti della zona – a causa dei prezzi concorrenziali dello spaccio interno – si sentono vittime di concorrenza sleale.

1969 (Archivio storico della Provincia di Bologna)
Nel 1969 all’interno dell’ospedale viene allestita la prima mostra di opere di pittura e modellazione realizzate dai pazienti. Regolamentata da apposito statuto nel 1973, la mostra espone con cadenza biennale i lavori della Scuola d’arte in funzione presso il Roncati, diretta all’epoca dall’ex paziente Oliviero Bovi.

1967 (Istituzione Gian Franco Minguzzi)

1/2/1969 (Archivio di Stato di Bologna)

1/2/1969 (Archivio storico della Provincia di Bologna)
Basaglia, Minguzzi e Bologna
Nel maggio del 1967 viene indetto un concorso per direttore dell’Ospedale psichiatrico Roncati. Tra i candidati c’è anche Franco Basaglia, che dal 1961 dirige il manicomio di Gorizia dove ha intrapreso un’esperienza di rinnovamento e di apertura dell’istituzione psichiatrica senza uguali in Italia, tesa a smantellare l’aspetto di custodia a favore di una dimensione di umanizzazione della cura, in vista della creazione della cosiddetta comunità terapeutica.

1967 (Archivio storico della Provincia di Bologna)
Le idee anti-istituzionali di Basaglia e la sua «vocazione filosofica» non convincono la commissione giudicatrice, che in sede di valutazione critica la sua «mancanza di riferimenti concreti circa i risultati della “comunità terapeutica” e di valide alternative alle tecniche condannate. In realtà, il Basaglia contesta globalmente 150 anni di psichiatria clinica, ma la problematica psichiatrica è per lui soltanto una piattaforma di base per più vasti sviluppi ideologici».

23/7/1968 (foto di Luciano Nicolini – Archivio storico dell’Università di Bologna)
Basaglia torna a Bologna nel 1968 per un incontro con Jean-Paul Sartre e con lo storico Vladimir Dedijer, che si tiene nell’Istituto di Psicologia occupato dagli studenti. A invitarli è Gian Franco Minguzzi, terapeuta e intellettuale, già assistente psichiatra al Roncati e all’epoca docente di psicologia all’Università di Bologna.

1974 (Istituzione Gian Franco Minguzzi)
Il rapporto tra Basaglia e Minguzzi prosegue negli anni in modo dialettico, soprattutto dopo la fondazione, nel 1973, di Pischiatria Democratica, i cui lavori programmatici si svolgono proprio nell’abitazione bolognese di Minguzzi, che ne viene nominato Segretario nazionale. Il gruppo di psichiatri promotori, in buona parte reduci dell’esperienza goriziana, si pone in questo modo come punto di riferimento tecnico per le forze politiche in vista della realizzazione della riforma sanitaria e dell’approvazione della legge 180 del 1978.


Relazione introduttiva di Gian Franco Minguzzi al primo convegno nazionale di Psichiatria Democratica a Gorizia
1974 (Istituzione Gian Franco Minguzzi)
La chiusura delle scuole speciali
Alla fine degli anni Sessanta si crea a Bologna un vasto movimento d’opinione che mette in discussione il sistema delle cosiddette “scuole speciali” e delle classi differenziali. Tutto il paradigma assistenzialistico che sottintende il supporto a minori svantaggiati viene qualificato da questa serrata critica antiistituzionale come tendenza alla psichiatrizzazione di forme di disadattamento e disagio sociale. In buona sostanza, si sostiene che dal disagio e dall’emarginazione alla devianza il passo sia breve. Per questo motivo le politiche per l’infanzia devono costituire il momento preventivo primario di una psichiatria moderna.

28/6/1966 (Archivio di Stato di Bologna)
Si avverte inoltre il bisogno di razionalizzare il vasto numero di strutture, case di rieducazione e scuole vere e proprie deputate all’accoglienza di questi bambini e ragazzi, e di semplificarne la gestione, a volte direttamente pubblica, statale o provinciale, più spesso privata e convenzionata. Nella maggior parte dei casi, inoltre, si tratta di edifici vecchi e inadeguati, dove non sono garantite nemmeno le condizioni igieniche di base.
Lo stesso assessore alla sanità, il neuropsichiatra infantile Eustachio Loperfido, sostiene nel 1971, a proposito delle scuole speciali, che «o l’istituzione si nega mentre si trasforma, oppure non possiamo pensare ad una sopravvivenza dell’istituzione».

4/7/1969 (Archivio di Stato di Bologna)
Via via, complice anche la pressione mediatica di quegli anni, una dopo l’altra vengono chiuse tutte le strutture educative per minori che tendono in realtà a isolare dal contesto sociale ragazzi in vario modo deficitari dal punto di vista fisico o psichico e vengono in alcuni casi sostituite con forme sperimentali di piccola comunità.

18/2/1970 (Archivio di Stato di Bologna)
Questo processo, che andrà avanti speditamente per alcuni anni, è una delle prime tangibili manifestazioni del movimento antipsichiatrico sul territorio bolognese e ha un nesso preciso con le inchieste sul campo effettuate, tra gli altri, da Gian Franco Minguzzi e volte a esplorare il disagio delle donne e madri proletarie lavoratrici. Sarà inoltre propedeutico alla creazione, a metà degli anni Settanta, di un modello di buone pratiche per l’infanzia e l’adolescenza di grande successo.

8/6/1971 (Archivio UDI Bologna)
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